Nel Disegno di Legge, presentato al ministero della giustizia il 13 Marzo 2020, vengono riportate nuove indicazioni relative alla disciplina del diritto all’oblio. In particolare all’art.13 del DDL n. 2435, dal titolo “Disposizioni per la trattazione dei giudizi di impugnazione delle sentenze di condanna nel testo emendato”, viene stabilito che i decreti legislativi previsti dal D.lgs 271/1989, delegati all’attuazione delle modifiche del codice di procedura penale, debbano prevedere tali disposizioni.
Tutto ciò viene adottato nel rispetto di un particolare principio e criterio direttivo: prevedere che il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo o assoluzione a procedere, costituiscano le basi per emettere un provvedimento di deindicizzazione che garantisca il diritto all’oblio, in modo effettivo, agli indagati e agli imputati (nel rispetto della normativa dell’Unione Europea).
Diritto all'oblio
Tale provvedimento si rivolge per lo più ai siti web e ai giornali, ai quali verranno inviate direttamente le richieste per l’immediata deindicizzazione dei nomi degli imputati o indagati a cui si riferiscono i provvedimenti. Per Comprendere appieno quanto stiamo dicendo, mettiamo una piccola parentesi per capire di cosa si sta parlando.
In cosa consiste il diritto all’oblio?
Il diritto all’oblio, ad oggi regolato dal “Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), in vigore da Maggio 2018, agli articoli 17, 21 e 22, tutela l’interesse del soggetto affinché le informazioni relative alla propria immagine, o ai propri dati personali riferiti a situazioni passate, siano attualizzati o cancellati. E’ un diritto che fondamentalmente si specifica come diritto al controllo della propria identità e, soprattutto, visti i tempi odierni, al controllo dell’identità personale nella rete internet. Si specifica inoltre, che facendo appello a questo diritto, si ha la possibilità di richiedere che la propria immagine non sia presentata in modo distorto, o che un fatto accaduto nel passato della persona non sia più presentato in termini attuali. In altre parole si può definire come il diritto ad essere “lasciati in pace“, non a caso in termini anglosassoni è definito “Right to be forgotten“, applicandosi quindi come una declinazione del diritto alla riservatezza (“Privacy“), come una sorta di limitazione alla conoscenza dei fatti che riguardano l’individuo. Infine, grazie al diritto all’oblio si può impedire che le notizie riguardanti il proprio passato, si diffondano ulteriormente attraverso le reti di comunicazione (fatti o circostanze lesive del proprio onore, o fatti che i giornali hanno trattato come illeciti)
Rimozione delle notizie
Secondo quanto abbiamo descritto sopra, il diritto all’oblio si sposa con il diritto di vedere la propria immagine o reputazione reintegrata e quindi riportata alla originaria integrità, se solo non fosse per i tempi odierni in cui le notizie provocano un effetto immediato sui lettori, i quali credono immediatamente a ciò che leggono, nonostante le numerosissime fake news, e difficilmente tornano all’idea originaria. In poche parole questo, a volte, comporta che nel richiedere la deindicizzazione della notizia, si cada doppiamente nella diffamazione, anziché in una soluzione e un rimedio definitivo.
CEDU e diritto all'oblio
Per tutti i motivi riportati nel paragrafo a fianco, la CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) è intervenuta in materia, stabilendo che il nome e il cognome di un soggetto sotto processo, possano essere pubblicati in modo legittimo, a patto che questo avvenga nel rispetto del codice deontologico giornalistico. Se prendiamo il caso Fuchsman C. – Germania- qui la CEDU ha legittimato la pubblicazione dei dati personali in un articolo online del NYT, che riportava le indagini sulla corruzione riguardanti l’imputato, nonostante fossero passati 16 anni. Perché la CEDU ha preso questa decisione?
Perché, con singola valutazione, il diritto di cronaca a volte prevale su quello all’oblio.
In Italia come funziona?
Gli uffici della Cassazione affermano che, con riguardo agli atti giudiziari, non sussistano garanzie di privacy per quanto riguarda i dati provenienti da elenchi pubblici, registri o documenti visibili a chiunque, salvo le leggi disciplinanti tali documenti. Inoltre, il Garante della Privacy afferma che i calendari dei processi e delle sentenze degli imputati debbano essere conoscibili, almeno per tutti coloro che ne abbiano interesse, secondo le normative vigenti, facendo perno anche sui nominativi degli indagati rinviati a giudizio, o condannati per una fattispecie di reato. Con le discipline di cui sopra, si è andato a favorire lo sviluppo dell’informazione giuridica in favore del pubblico delle sentenze, anche attraverso internet, salvo che alcuni dati sensibili, come quelli sulla salute o sulla vita sessuale o sulla generalità dei minori, non siano resi conoscibili agli utenti.
Il Garante Privacy Italiano, si è qui pronunciato ordinando agli editori dei giornali di mettere a disposizione immediatamente gli sviluppi delle notizie relative all’imputato, secondo quanto da lui stesso formulato nell’atto di ricorso o in altra documentazione legittima.