SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 13 febbraio – 30 aprile 2009, n. 18006
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. – Con ordinanza del 26 settembre 2008, il GIP del Tribunale di Firenze disponeva la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di R.S., M.L., e C.P. e la misura degli arresti domiciliari nei confronti di B.E. e B.P., indagati – in concorso tra loro – dei reati di corruzione propria continuata ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., artt. 110, 319 e 321 c.p. nonchè di continuate rivelazioni ed utilizzazioni di segreti di ufficio, in concorso tra loro e con i pubblici ufficiali coinvolti, per il conseguimento di profitto patrimoniale, ai sensi dell’art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., art. 326 c.p., comma 3; continuato abusivo accesso alla Banca Dati del Sistema Telematico di Informazione Interforze del Ministero dell’Interno, in concorso tra loro e con i pubblici ufficiali che materialmente agirono, ai sensi dell’art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., art. 615 ter c.p., commi 2 e 3 ed associazione per delinquere finalizzata ai citati reati fini, ai sensi dell’art. 416 c.p. nonchè R. e C. di analoghi reati loro rispettivamente ascritti. I fatti in contestazione consistevano nell’indebita acquisizione, con la complicità di appartenenti alla polizia di Stato, di notizie riservate tratte dagli archivi informatici d’ufficio, per l’utilizzo in attività di investigazione privata, in agenzie facenti capo agli indagati o nelle quali gli stessi prestavano la loro attività.
Pronunciando sulle richieste di riesame proposte in favore degli indagati, il Tribunale di Firenze, con l’ordinanza indicata in epigrafe, in parziale accoglimento, disponeva applicarsi nei confronti del M., R. e C. la misura cautelare degli arresti domiciliari, con le opportune prescrizioni, confermando nel resto.
Avverso l’anzidetta pronuncia i difensori del R. e del C. nonchè B.E., B.P. e M.L. hanno proposto distinti ricorsi per Cassazione ciascuno affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.
2. – Il primo motivo del ricorso proposto dall’avv. Ramalli denuncia insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ed errata valutazione di norme di legge e delle risultanze investigative. Il secondo deduce insussistenza del pericolo di reiterazione dei reati ipotizzati.
Il terzo motivo deduce insussistenza del concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova ed il difetto di motivazione sul punto.
Il primo motivo del ricorso dell’avv. Puliti deduce violazione od erronea applicazione degli artt. 273 e 292 c.p.p.; contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riferimento all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Il secondo motivo deduce insussistenza del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, facendo difetto, in particolare, il requisito della concretezza. Il terzo motivo denuncia violazione od erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p., comma 3, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), sul rilievo che il materiale investigativo era risalente nel tempo e che, comunque, era ragionevolmente ipotizzabile l’applicazione all’indagato dell’indulto.
Il ricorso proposto da M. e dalle B. deduce, con il primo motivo, l’insussistenza del pericolo di reiterazione; con il secondo, l’insussistenza del pericolo di inquinamento probatorio e con il terzo l’acritica adesione alla richiesta del Pm, in mancanza di valutazione degli elementi di segno contrario offerti dalla difesa. Con i motivi nuovi, gli stessi ricorrenti deducono insussistenza di gravi indizi con riferimento al reato di cui all’art. 615 ter c.p., l’insussistenza di gravi indizi con riferimento al reato di cui all’art. 416 c.p. ed alla qualità di promotore in capo al M.; il decorso dei termini di fase per il M.; l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza con riferimento ai reati di cui agli artt. 319 e 321 c.p.
Il ricorso proposto dall’avv. Zani, in favore del C., deduce, con il primo motivo l’insussistenza delle esigenze cautelari, con riferimento al paventato pericolo per l’acquisizione o genuinità della prova, anche in ragione della data degli addebiti risalenti nel tempo ed orami coperti da indulto, ed il pericolo di reiterazione.
Se, infatti, l’indagato, titolare di licenza di investigatore privato, avrebbe in ipotesi potuto commettere analoghi reati, era pur vero che, a norma dell’art. 290 c.p., il GIP avrebbe potuto avvalersi della facoltà di inibire temporaneamente l’esercizio dell’attività, piuttosto che privarlo della libertà personale che gli impediva lo svolgimento della sola attività di sostentamento, quella di amministratore di condominio. Il secondo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 84 e 319 c.p., posto che i diversi fatti contestati ben avrebbero potuto essere considerati elementi costitutivi del reato di corruzione. Il terzo motivo deduce insussistenza del pericolo di reiterazione posto che la licenza di investigatore era stata sospesa dal Prefetto di Firenze il 21.10.2008 e, comunque, in caso di condanna, era ragionevolmente prevedibile la concessione della sospensione condizionale della pena.
3. – Nella griglia delle articolate censure di parte, rilievo certamente preliminare assume la questione concernente la dedotta insussistenza dei presupposti del contestato reato di cui all’art. 615 ter c.p., sul riflesso che l’accesso all’archivio informatico da parte di personale dell’Amministrazione sarebbe avvenuto mediante la password di servizio e non già abusivamente per come richiesto dalla norma incriminatrice. La doglianza è priva di fondamento. Ed invero, a parte ogni considerazione sull’incidenza di eventuale giudizio di insussistenza dell’ipotesi contestata sul piano della libertà personale, stante la piena idoneità degli altri titoli di reato a giustificare la misura custodiale, la presente sede cautelare non si presta, certamente, al dovuto approfondimento, posto che l’esatta qualificazione giuridica della fattispecie postula l’accertamento di ineludibili presupposti fattuali e modalità comportamentali, che non può appartenere a questa fase incidentale della procedura.
Nondimeno, pur nella consapevolezza del carattere problematico della questione (cfr. Cass. sez. 5 20.12.2007, n. 2534, rv. 239105), è sufficiente considerare in questa sede che la norma di cui all’art. 615 ter c.p. non punisce soltanto l’abusivo accesso a sistema informatico (escluso dal possesso di titolo di legittimazione nell’agente), ma anche la condotta di chi vi si mantenga contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo (cfr., in tal senso, Cass. Sez. 5, 8.7.2008, n. 37322, rv. 241202; id. Sez. 5, 7.11.2000, n. 12732, rv. 217743). Di guisa che l’accesso da parte di chi vi sia abilitato per attingere dati protetti per finalità estranee alle ragioni d’istituto ed alle finalità sottostanti alla protezione dell’archivio informatico sembra potenzialmente idoneo a configurare l’ipotesi incriminatrice. E, rispetto ad essa, l’elevata probabilità di imputazione a carico degli odierni indagati, in forza del compendio indiziario specificamente indicato nel titolo custodiale, è stata positivamente apprezzata dal giudice del riesame, con valutazione adeguatamente giustificata.
3.1. – Venendo ora all’esame specifico delle altre ragioni di censura, è infondato il primo motivo del ricorso proposto e ribadito in memoria difensiva dall’avv. Ramalli, in favore del R., posto che il quadro indiziario tratteggiato nell’ordinanza impugnata appare certamente idoneo, per gravità e determinatezza indiziaria, a legittimare il titolo di custodia cautelare. Un corposo compendio investigativo, specificamente indicato nel provvedimento impugnato, ha individuato in testa all’indagato il beneficiario dell’attività di abusivo sfruttamento di funzione pubblica ed utilizzazione di informazioni riservate nel campo non solo dell’attività investigativa (svolta quale collaboratore dell’agenzia Kim di investigazioni), ma anche del recupero crediti (in qualità di legale rappresentante della società Sviluppo Iniziative Economico s.r.l.).
Sfugge, naturalmente, al sindacato di legittimità, siccome questione prettamente di merito, l’apprezzamento del grado di capacità dimostrativa delle risultanze investigativo, dovendo questo Giudice limitarsi a valutare la congruità e correttezza dell’impianto motivazionale giustificativo del titolo custodiale in rapporto alle ipotesi di reato in contestazione. Il richiesto collaudo ab extrinseco, nel caso di specie, ha esito largamente positivo, avendo – per quanto si è detto – il provvedimento impugnato individuato una piattaforma indiziaria ritenuta, motivatamente, idonea a fondare un giudizio di elevata probabilità di colpevolezza.
La seconda e terza censura, relative, sotto diversa angolazione prospettica, al profilo delle esigenze cautelari sono entrambe infondate.
Ed infatti, la motivazione resa, al riguardo, dal giudice del riesame è ineccepibile nei suoi riferimenti al pericolo di reiterazione, ancorato ad elementi specificamente tratti dalle peculiarità della fattispecie, dall’intensità e durata nel tempo dei rapporti illeciti, a sostegno del paventato rischio di riattivazione delle illecite metodiche, sia pure sotto altre forme ed in diversi contesti.
Destituite di fondamento sono anche le doglianze che sostanziano il ricorso dell’avv. Puliti, sempre in favore del R.. Quanto al profilo della sussistenza degli indizi od alla gravità degli stessi, nonchè in ordine alle esigenze cautelari, è sufficiente richiamare le superiori argomentazioni che danno conto della ritenuta infondatezza delle anzidette censure. Resta da dire che il carattere datato del materiale investigativo è circostanza priva di rilievo in questa sede, tenuto peraltro conto che la distanza nel tempo è stata, comunque, già apprezzata dal giudice del riesame, assumendola come elemento concorrente di valutazione in favore della concessione all’indagato della meno affittiva misura della custodia domiciliare.
3.2 – Infondato è anche il ricorso proposto dal M. e dalle B. Per quanto concerne la contestazione del ritenuto pericolo di reiterazione, è sufficiente – ancora una volta – richiamare le superiori argomentazioni, valide anche per gli altri indagati, il cui convingolmento nell’ipotizzato sistema illecito è adeguatamente tratteggiato, alla stregua del consentito richiamo per relationem al titolo custodiale. Inconferente è, invece, il rilievo contestativo del pericolo di inquinamento probatorio, posto che le esigenze cautelari non sono state specificamente apprezzate con riferimento a quel pericolo. Quanto alla terza doglianza non risultano specificati quali elementi di segno contrario alla prospettazione accusatoria sarebbero stati forniti dalla difesa ed immotivatamente pretermessi dal giudice del riesame.
La già rilevata idoneità della motivazione a sostegno delle ipotesi di reato in contestazione da ragione, poi, della ritenuta infondatezza dei motivi nuovi espressi nella memoria difensiva indicata in epigrafe, anche con riferimento al contestato ruolo attribuito al M. nel contesto associativo. Ogni questione relativa all’asserita decorrenza dei termini di fase esula dall’odierna cognizione di questa Corte, dovendo essere sottoposta al giudice di merito competente nelle prescritte forme di legge.
3.3. – Per quanto riguarda, poi, il ricorso proposto dall’avv. Zani, in favore del C., si osserva, in riferimento al primo motivo, che è inconferente il richiamo al pericolo per l’acquisizione o genuinità della prova, in quanto anche per il C. sono state positivamente apprezzate le sole esigenze connesse al ritenuto pericolo di reiterazione, mentre, quanto alla data degli addebiti ed all’applicabilità dell’indulto, valgono in senso contrario le stesse argomentazioni addotte in riferimento alla posizione del R.
La proporzionalità della forma custodiale è stata motivatamente espressa dal giudice del riesame, secondo un ordine di idee rispetto al quale non è rilevante l’astratta possibilità di applicazione, da parte del GIP, di misure interdittive.
Neppure l’intervenuta sospensione, in sede amministrativa, della licenza di investigatore privato elide, allo stato, l’incidenza delle esigenze cautelari, per le ragioni espresse dal giudice del riesame, con riferimento al rischio paventato di riemersione del circuito illecito sotto forme e modalità diverse. E, quanto infine alla concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena, il giudice del riesame ha escluso che, alla stregua dei segnalati elementi negativi, fosse ragionevolemente formulabile un giudizio prognostico favorevole.
4. – Per quanto precede i ricorsi devono essere tutti rigettati, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2009